Senza conoscere resa. I soldati irriducibili fedeli al Sol levante

Scritto il 12/07/2025
da Luca Gallesi

Il saggio di Antonio Besana ricostruisce la vicenda degli "ultimi giapponesi"

Quando si parla di ultimi giapponesi, ci si riferisce solitamente a qualcuno considerato fuori dalla realtà, che vive in un proprio mondo, attaccato a qualcosa che non c'è più; persone che, quindi, meritano la nostra compassione, di solito mischiata a un po' di disprezzo. L'origine di questa espressione fa riferimento ai moltissimi soldati dall'armata imperiale nipponica che, al termine del secondo conflitto mondiale, continuarono a combattere la loro, ormai personale, guerra, dopo la resa incondizionata firmata dall'Imperatore Hirohito il 2 settembre 1945. Fedeli al codice d'onore dei Samurai tramandato dal Bushido, le truppe combattenti sotto la bandiera del Sol levante non concepivano che questa alternativa: vincere o morire, ipotesi che, nel loro caso, non era vuota retorica, ma un impegno assoluto. La resa, infatti sarebbe stata la vergogna più grande sia per i soldati al fronte, sia per le loro famiglie in patria. Agli ufficiali sconfitti che fossero sopravvissuti alla morte in battaglia, toccava il suicidio rituale tramite seppuku, cioè squarciandosi il ventre con la propria spada come fece, quasi in diretta televisiva mondiale, lo scrittore Yukio Mishima il 25 novembre 1970, per protestare contro la decadenza del suo Paese.

Così, armati dalla fede incrollabile nella vittoria, migliaia di soldati giapponesi, letteralmente isolati in mezzo al Pacifico e privi di mezzi di comunicazione, rimasero a combattere sugli isolotti trascurati dall'avanzata delle truppe americane, ignari della sconfitta e convinti che, prima o poi, la flotta imperiale nipponica sarebbe tornata a recuperarli. Sembra una storia incredibile, ma furono davvero tantissimi i combattenti che continuarono, per anni, a eseguire gli ordini di una guerra ormai finita e perduta: gli ultimi due si arresero soltanto nel 1989!

L'interesse per questi irriducibili sembra essersi ravvivato negli ultimi anni, almeno in Occidente: è infatti di pochi anni fa (2021) il film Onoda 10mila notti nella giungla, di Arthur Harari, pluripremiato a Cannes, che racconta la storia del giapponese più famoso, il tenente Hiroo Onoda, che si arrese solo nel 1974. Di Onoda sono state ripubblicate in italiano le suggestive memorie dalle Edizioni di Ar: Dietro le linee. Io solo, per trent'anni in guerra. Ancora a Hiroo Onoda, Werner Herzog ha dedicato un libro appassionato, Il crepuscolo del mondo, dal quale il regista tedesco sta realizzando il suo primo film d'animazione.

A loro è dedicato anche il saggio di Antonio Besana Gli ultimi soldati dell'Imperatore. I giapponesi che non si arresero dopo il 1945 (Edizioni Ares, pagg. 216, euro 16), da pochi giorni in libreria. Autore di vari saggi di storia militare, Besana offre al lettore un resoconto completo degli ultimi irriducibili giapponesi, e anche delle vicende che infiammarono l'Estremo Oriente per quasi tutto il secolo scorso. Già, perché l'ascesa del Giappone tra le grandi potenze data dal 1904, quando per la prima volta una nazione asiatica sconfigge uno Stato occidentale, la Russia, nel conflitto russo-giapponese. Un'altra vittoria del Paese del Sol Levante è quella della Prima guerra mondiale, a cui partecipa come alleato della Triplice Intesa. Non sufficientemente valorizzato dalle potenze europee, il Giappone, allora, negli anni Trenta annette la Corea e, soprattutto, invade la Manciuria, creando un proprio stato, il Manchukuo, nel territorio cinese.

Uno dei tanti aspetti interessanti che rendono il saggio di Besana originale, oltre che prezioso, è la ricostruzione dei destini assolutamente imprevedibili dei molti soldati perduti che, sempre a guerra finita, continuarono a combattere, tra le fila di altri eserciti, quella che era diventata una guerra di liberazione dell'Asia dal colonialismo europeo. Anche se può sembrare inverosimile agli occidentali abituati a ragionare con categorie in bianco e nero, ci sono parecchi militari nipponici che nel 1945 si trovano nel Sud-est asiatico e che si arruolano agli eserciti locali continuando a combattere. Durante la prima guerra d'Indocina, migliaia di soldati e ufficiali dell'ex-armata imperiale si uniscono ai Viet Minh contro i Francesi. In Cina, furono quasi 150mila i soldati giapponesi che si inquadrarono nell'Armata Rossa guidata da Mao, mentre si parla di qualche centinaio di militi nipponici aggregati al Movimento di liberazione della Malesia guidato dal Partito comunista locale. La storia più strana, comunque, rimane quella di Ishinosuke Uwano, che, diciannovenne, è assegnato nel 1943 alla guarnigione nipponica di stanza sull'isola di Sachalin, che dopo l'annessione -ancora oggi contestata- all'URSS, scomparve fino al 2006 (!) quando riapparve, cittadino naturalizzato ucraino e fiero di esserlo diventato.

Tutte queste storie, e molte altre, si aggiungono alle dettagliate vicende dei soldati nipponici che non si arresero nel 1945, facendo del saggio di Antonio Besana un classico della letteratura militare del XX secolo.