«A Goffredo Fofi va dato atto di aver mantenuto, nel corso della sua lunga e operosissima attività intellettuale e di militante delle cause perse, una coriacea coerenza». Così scrivevo di recente su questo giornale a proposito del saggio di un arzillo intellettuale ottantaseienne. Con il «gran cavaliere delle cause perse» ho polemizzato dalla fine degli anni Ottanta del secolo passato. Scontri costanti. Non di rado seguiti da scritti aspri. Mai volgari da entrambe le parti. Gli ho sempre riconosciuto talento e sconfinato amore per la celluloide. Il suo limite, piuttosto evidente, era il Sessantotto. A mio avviso l'origine di tutti i mali culturali, politici e religiosi occidentali. Fofi la contestazione l'ha addirittura anticipata, varando nel maggio 1967 la rivista ultra-militante torinese Ombre rosse. Troppa grinta priva di misura, indirizzata soprattutto contro il cinema italiano. Mi capitò di definirlo il Savonarola della critica cinematografica, pronto a sputar sentenze e lanciare scomuniche. La risposta non si fece attendere: «fascistello da quattro soldi».
Il trascorrere del tempo lo obbligò a dotarsi di un bastone. A Venezia il ritardo dell'inizio di una proiezione scatenò rumorose proteste in sala. All'affacciarsi di un timido carabiniere la platea s'infiammò. Per alcuni incanutiti fu una medicina miracolosa. Meglio del biscotto intinto da Proust nella tazza fumante. Ritrovarono di colpo la gioventù protestataria perduta. Goffredo minaccioso roteava la mazza. Era a due file da me. Appena il clamore si attenuò gli dissi con voce sonora: «Piantala! Pagliaccio!». Voleva saltare le poltrone. Lo fermarono. Avrebbe certamente avuto la peggio, ma ancora oggi rendo omaggio al suo coraggio. A Fofi, benché vecchio, la determinazione non ha mai fatto difetto. Il problema è che l'ha sempre male indirizzata. Lo punzecchiai sul fatto che scrivesse per il giornale rosa dei padroni: Il Sole 24 Ore. La replica del Patriarca arrivò puntuale: «Meglio che scrivere sulla rivista dei preti». Ironia della sorte, lo Scalfari squattrinato e malvestito (il Patriarca vero era imbottato di soldi e vestiva abiti di sartoria) cominciò a collaborare con il quotidiano dei vescovi Avvenire. Ci scrivevo pure io. Mandai una lettera di protesta al direttore Dino Boffo. Neppure mi rispose. Gliene mandai una seconda. Lo salutavo. Si tenga stretto il Patriarca Fofi, nemico giurato della Chiesa cattolica. Se lo sono tenuto fino alla fine. Affari loro! Con la sua scomparsa alle polemiche mettiamo un punto. Ci togliamo il cappello nel rispetto dell'avversario. Lo salutiamo con deferenza, aggiungendo un avvertimento. La guerra è finita. Ma, caro Goffredo, tieni a portata di mano la mazza. Prima o poi ci si rivede. E si ricomincia. Intanto fai buon viaggio.