La leggenda dei cosmonauti perduti

Scritto il 12/07/2025
da Davide Bartoccini

La misteriosa storia degli uomini scomparsi nelle missioni spaziali "fallite" che Mosca non avrebbe mai rivelato al mondo. Una leggenda della Guerra fredda che è sopravvissuta tra teorici del complotto e fascinazioni da romanzo

È sopravvissuta alla caduta dell'Unione Sovietica e alla fine della Guerra Fredda, all'apertura degli archivi più segreti e alla confutazione degli esperti, la leggenda dei "cosmonauti perduti": uno dei grandi misteri che continuano a orbitare attorno al programma spaziale sovietico. Vicenda affascinante quanto drammatica, completamente incentrata sul presunto segreto inconfessabile della perdita di alcuni alcuni cosmonauti nello spazio profondo durante una serie di fallimenti spaziali. Otto uomini e almeno una donna che sarebbero stati addirittura ascoltati in alcuni dei loro ultimi momenti di vita. Prima di scomparire nell'oscurità, senza fare mai ritorno.

Un fallimento da nascondere al mondo

Una serie di fallimenti da insabbiare a tutti i costi, su cui iniziarono comunque a circolare le prime strane voci negli anni '60. Alcune delle quali, caso strano, diffuse proprio da uno dei più prolifici scrittori di romanzi di fantascienza dell'epoca, l'americano Robert A. Heinlein, fortunato autore del best seller "Fanteria dello Spazio" che nel 1960 pubblicò un articolo dal titolo emblematico,"Pravda", ossia "verità", articolo in cui riportava rivelazioni resegli da alcuni cadetti dell'Armata Rossa durante un viaggio in Lituania. Allora paese satellite dell'Urss.

Secondo quei giovani cadetti, proprio nei giorni in cui lo scrittore americano era in gita lungo la cortina di ferro, l'Unione Sovietica aveva "lanciato un uomo in orbita". La navicella spaziale aveva riscontrato una serie di problemi al sistema di guida, ciò l'avrebbe portata fuori dalla rotta prefissata, costringendola a orbitare attorno alla Terra senza possibilità di farvi rientro. Condannando a morte certa il cosmonauta che era a bordo.

Questa incredibile storia raccontava solo una delle "drammatiche morti nello spazio" che l'Unione Sovietica aveva deciso di nascondere al mondo. La registrazione di una segnale di sos in codice morse che sembrava farsi "sempre più distante", e quella di voce "rotta, distorta e spaventata" che venne catturata nell'etere dai fratelli Judica-Cordiglia. Due giovani radioamatori italiani che avevano installato in un bunker della seconda guerra mondiale una stazione di ascolto radio ribattezzandolo "Torre Bert", che era proprio sotto la traiettoria orbitale dei lanci sovietici, e che le loro testimonianza hanno contribuito a diffondere voci sui cosmonauti perduti.

Se per alcuni queste registrazioni appartengono solo alla suggestione, per altri la visita che un agente del Kgb avrebbe fatto ai fratelli italiani, avvalorata delle parole di un agente del controspionaggio italiano, non fece altro che convalidare la teoria che qualcosa di segreto e indicibile era stato "scoperto". Ma cosa?

La leggenda dei cosmonauti "perduti"

Secondo alcune teorie, il cosmonauta Yuri Gagarin non sarebbe stato il "primo uomo" ad andare nello spazio, ma sarebbe stato "solo il primo a tornare vivo". Prima di lui, qualche coraggioso cosmonauta con la tuta spaziale arancione e il voluminoso casco dove compariva la grande scritte rossa CCCP, potrebbe essere scomparso nelle profondità dello spazio, deceduto in seguito a una lenta agonia mentre era in orbita senza poter tornare alla base, o bruciato con la sua navicella nella fase di rientro sulla terra.

Sarebbe stato questo il destino dei "cosmonauti perduti". Un segreto inconfessabile, che l’Unione Sovietica ha preferito nascondere. Proprio come la catastrofe che si era consumata nel cosmodromo di Bajkonur il 24 ottobre 1960. Qualcosa da seppellire nei dossier più segreti del palazzo della Lubjanka, o magari in qualche archivio ancora più impenetrabile. Tutto pur di non gettare discredito sul programma spaziale e sul Cremlino che lo stava sovvenzionando con tutte le risorse disponibili.

Secondo le cronache ufficiali, i cosmonauti russi morti in missione furono quattro: Vladimir Komarov deceduto per lo schianto della navicella 1967 per lo schianto del veicolo spaziale Soyuz durante l'atterraggio, passato tristemente alla storia come il primo uomo morto durante un volo spaziale; Victor Patzaev, Georgij Dobrovol’skij e Vladislav Volkov, deceduti nel 1971 per una depressurizzazione improvvisa del veicolo spaziale nella fare di rientro sulla Terra. Un altro cosmonauta, Grigorij Neljubov, venne espulso dal programma Vostok e si ritiene sia morto suicida. Nessun cosmonauta sarebbe morto o "scomparso" prima del volo spaziale di Yuri Gagarin, avvenuto il 12 aprile del 1961. Cosa avevano captato quindi i fratelli Judica-Cordiglia? E di cosa parlava precisamente lo scrittore americano Robert A. Heinlein?

Ivan Ivanovich, i cosmonauti-paracadutisti e le suggestioni dell'era spaziale

Secondo molti esperti che analizzarono con attenzione le informazioni "captate" dai fratelli Judica-Cordiglia, molte cose non tornavano. Sebbene i fratelli italiani avessero dimostrato di aver captato con successo i segnali del satellite Sputnik I, mandato in orbita nel 1957, quelli del satellite statunitense Explorer I, lanciato nel 1958, e fossero anche riusciti a captare prima di altri le comunicazioni tra Gagarin e il comando missione, e l'astronauta John Glenn in orbita nel 1962, tutte le altre intercettazioni non coincidevano con missioni spaziali lanciate dai sovietici. Al tempo già monitorare dal sistema Space Detection and Tracking System gestito dal comando missilistico del Norad per il tracciamento dei lanci spaziali dal novembre del 1960.

Secondo Sir Bernard Lovell, radioastronomo e direttore del radiotelescopio di Jodrell Bank, era da ritenersi difficile, se non impossibile, che determinate comunicazione fossero state intercettate solo da una piccola stazione amatoriale istallata in un bunker tedesco nelle vicinanze di Torino, e che nessun altro radiotelescopio del mondo le avesse intercettate.

Altri considerarono le traduzioni dei messaggi registrati dai due fratelli distanti dal russo, o comunque intraducibili, e affermarono che il respiro o il battito cardiaco di un cosmonauta sarebbero stati ricevuti in "onde quadre", non come erano stati uditi dai due giovani italiani. In ultimo, le ipotetiche conversazioni tra più cosmonauti in orbita erano da ritenersi completamente impossibili dal momento che all'inizio degli anni '60 il programma russo non prevedeva veicoli spaziali con equipaggio. Tutte le capsule di quel periodo erano monoposto.

Nelle missioni spaziali che hanno preceduto il lancio di un cosmonauta nello spazio, un manichino dalle perfette sembianze umane, soprannominato Ivan Ivanovich, che posizionato all'interno della capsula con una tuta spaziale perfettamente funzionante per eseguire dei test.

Una delle principali argomentazioni che tende a smentire la teoria dei cosmonauti perduti suggerisce in fine che molti di questi non fossero dei veri cosmonauti parte del programma spaziale, ma piloti militari collaudatori e paracadutisti d'alta quota come il colonnello Pyotr Dolgov, cosmonauta-paracadutista che perse la vita durane un lancio d'alta quota nel 1962. Lo stesso varrebbe per Nikolaj Nikitin, presunto cosmonauta, in realtà addetto alla "preparazione dei cosmonauti", che morì nel 1963 durante un lancio con il paracadute. Secondo le fonti russe, anche altri tre specialisti, Ledovskij, Šiborin e Mitkov, ritenuti essere dei "cosmonauti morti in voli suborbitali", facevano in realtà parte di un gruppo di piloti collaudatori che non era destinato a voli spaziali.

Una leggenda credibile, ma pur sempre una leggenda

Dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica, avvenuto nel 1991, tutti gli archivi del programma spaziale russo vennero aperti. Gli esperti e gli storici dell'astronautica vennero a conoscenza di retroscena e fallimenti tenuti nascosti dal Partito Comunista, che non voleva perdere la faccia né di fronte ai suoi avversari esistenziali, né di fronte alle repubbliche socialiste che facevano parte l'Urss.

Emersero dettagli sulla catastrofe di Nedelin; sulla sperimentazione fallimentare del razzo N1, che era stato progettato per portare due cosmonauti sulla Luna, e sulla cancellazione definitiva del programma per volere del Politburo nel 1974. Vennero presi in visione i dossier su missioni spaziali abortite nella fase di lancio, come quella del Sojuz 18-1, e fatta chiarezza su molte delle dinamiche che condussero Mosca verso il dissanguamento economico per progetti spaziali irrealizzabili; ma nessuno dei documenti contenuti negli archivi sovietici conteneva prove che potessero essere collegate alla "scomparsa di cosmonauti", e tanto meno confermare l'esistenza di voli spaziali tenuti segreti o addirittura di "un programma spaziale parallelo" che aveva celato la tragica perdita di uno o più cosmonauti nello spazio.

Secondo Luca Boschini, che ha dedicato a questa vicenda il libro intitolato Il mistero dei cosmonauti perduti, si è sempre trattato di una "bella leggenda". Negli "archivi delle missioni spaziali di quell’epoca sono stati aperti e non ce n’è traccia. Inoltre, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, gli ingegneri che lavoravano nel programma spaziale sono stati liberi di scrivere memorie e libri e nessuno ha mai parlato di incidenti avvenuti nello spazio”. (E potremmo dire lo stesso sulla teoria della cospirazione che sostiene che l'allunaggio delle missioni Apollo sia tutta una messa in scena).

Gli esperti che hanno sempre escluso la possibilità di un "cosmonauta perduto". E nonostante il programma spaziale sovietico possa essere stato costellato di "omissioni, mezze verità e incidenti da insabbiare", le prove ci spingono a concludere che si è trattato solo di un'intrigante leggenda metropolitana che si ben presta agli appassionati di misteri e complotti che si sono concentrati sulla mitologia spaziale.