Tassa sulle cedole, le "vittime" illustri

Scritto il 26/10/2025
da Marcello Astorri

Da Caltagirone a Unicredit fino a Minozzi. Il contributo arriva a decine di milioni

Uno stuolo di «vittime» illustri può finire nella rete della nuova tassazione sui dividendi. Circa 1 miliardo è il gettito atteso dalle tabelle allegate al testo della manovra di bilancio 2026.
Non è detto che la misura arrivi all’approvazione, ma ad oggi prevede una tassazione del 24% sui dividendi elargiti a società, imprenditori ed enti residenti con quote inferiori al 10% del capitale di una società. Tra i big di Piazza Affari potenzialmente colpiti, spicca la figura dell’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone che, per esempio, vanta il 6,28% di Generali. Considerando che il Leone ha distribuito 2,17 miliardi di dividendi nel 2025 a valere sul 2024, con il nuovo prelievo (che in realtà è la rimozione del regime di esclusione precedente) si troverebbe a versare quasi 33 milioni (su 136,4 milioni di dividendi lordi). Sempre per quanto riguarda la compagnia assicurativa, la famiglia Benetton (che ha il 4,86%) potrebbe trovarsi a versare indicativamente 25 milioni di euro. Si salverebbe, invece, la Delfin del gruppo Del Vecchio, che ha una quota superiore al 10 per cento. Verrebbe colpita però l’Unicredit guidata da Andrea Orcel, che conserva diritti di voto superiori al 5% ma con un’esposizione inferiore al 2% per la quale si potrebbe stimare un impatto potenziale di 8-9 milioni.
Osservando, invece, l’azionariato di un altro big quotato come Mps, che ha da poco acquisito Mediobanca, tra le vittime illustri - vittime per modo di dire, ovviamente - ci sarebbe Banco Bpm con il suo 3,74 per cento. Prendendo, sempre a titolo indicativo, il fatto che Mps ha distribuito 1,08 miliardi quest’anno, l’istituto guidato da Giuseppe Castagna si troverebbe a pagare tra 9 e 10 milioni di euro. Un altro stangato di lusso sarebbe Davide Leone, grande azionista di Piazza Meda con un pacchetto di azioni del 2,26%, che si troverebbe a pagare nell’intono di 8,5 milioni. Mentre l’imprenditore della ceramica Romano Minozzi, ex membro del patto di consultazione di Mediobanca, in virtù della sua partecipazione al 3,09% di Eni (prendendo a riferimento che il gruppo dell’energia guidato da Claudio Descalzi ha distribuito 3,3 miliardi quest’anno) si troverebbe a subire un salasso da quasi 25 milioni (e 17 milioni sulla quota in Snam). Un caso particolare potrebbe essere quello di Unipol, con la compagnia assicurativa presieduta da Carlo Cimbri che conta nella sua compagine azionaria diverse società con una partecipazione inferiore al 10% (Holmo Spa 6,73%, Nova Coop Soc.
Coop. 6,82%, Cooperare S.p.A. 4,36%, Coop Liguria 3,56%, Coop Lombardia 2,64%). Prendendo a riferimento lo stesso procedimento fatto per gli altri casi fin qui citatti, gli azionisti di Unipol tutti insieme si troverebbero a dover versare nelle casse dello Stato oltre 35 milioni.
Si tratta di cifre indicative, dal momento che la norma entrerebbe in vigore solo nel 2026 e andrebbe calcolata sugli utili 2025, inoltre non tiene conto di eventuali movimenti nel capitale: infatti, alcuni potrebbero acquistare titoli per portarsi oltre la soglia del 10 per cento, mentre altri potrebbero vendere per non dover sottostare al balzello. In Avio, giusto per fare esempio, Delfin dovrebbe partecipare all’aumento di capitale da 400 milioni della società dei lanciatori e quindi salire oltre l’attuale 3,68 per cento. Va segnalato che la normativa si guarda bene dal coinvolgere i fondi d’investimento residenti all’estero, probabilmente onde evitare una ritirata massiccia di questo tipo di investitori. Mentre non dovrebbero scampare alla tagliola, se tutto rimane così com’è, le varie Casse di previdenza.