Prometto che non lo farò più!». Quando lo dice un bambino dopo aver compiuto una marachella o un guaio ed essere stato rimproverato dai genitori o da un adulto educatore, ha una carica emotiva profonda e un convincimento che smuove il cuore e a volte persino le lacrime. Se «prometto che non lo farò più!» lo dice un adulto ha una portata nettamente più sbiadita perché facciamo fatica a mantenere la parola con gli altri ed è ancora più difficile mantenerla con se stessi, figuriamoci con Dio. Di fatto, in nessuno dei casi, per la stragrande maggioranza delle volte, cambierà qualcosa. La grandezza divina di un genitore e di un educatore non è quella di guardare al risultato, ma di formare la capacità di analisi. Si tratta cioè di imparare a darsi dei tempi in cui misurare i passi fatti, i passi sbagliati, i passi mancanti. Nella dimensione sacramentale è questa una delle parti essenziali e viene chiamata proposito. Se non c'è la scelta di un obbiettivo da raggiungere non basta ammettere ho sbagliato, non basta ripetere non lo farò più, non basta nemmeno il convincimento dispiaciuto del pentimento. Il confessionale ha il valore di insegnare a capire non solo cosa si è fatto male e anche cosa non si è fatto, ma soprattutto cosa bisogna fare da adesso in poi, come porre gesti concreti di risoluzione, recupero, rilancio, ripresa. Innanzitutto bisogna che l'impegno sia fattibile. Espressioni come farò il bravo per un bambino o starò più attento, adesso mi ci metto per un adulto, valgono quanto tanti da domani mi metto a dieta per poi darsi appuntamento subito dopo in pasticceria.
Secondo aspetto essenziale è che l'obiettivo sia concreto. Gli orizzonti spicci (non utopici) sono più raggiungibili, quindi danno soddisfazione e si è più portati a procedere: si va più lontano con tanti piccoli passi che non cercando di fare un lunghissimo salto. Terza condizione è che il proposito sia misurabile rispetto alle forze da usare, ai punti di criticità e a quelli di forza, al periodo che si vive e alle attese. Cosa ho fatto? è in genere la domanda che nasce spontanea quando succede qualcosa di cui si è incolpati. Cosa ho fatto per me? dovrebbe essere invece l'interrogativo da porsi per farsi bene.
Il problema è che non cisi chiede più: cosa non ho fatto?. È facile fare proclami e dichiarazioni a cui non seguono i fatti, senza farsene il ben che minimo problema. Etimologicamente la parola promettere è mandare avanti, porre in evidenza, mettere pro cioè a vantaggio e in vantaggio.
Nelle app quando viene offerta la versione PRO significa che vi è una qualità superiore, un livello maggiore, una funzionalità che richiede implementazioni. Lo stesso è per PRO-mettere, quindi è una scelta in evidenza per priorità e impegno. In una società social, sempre più traboccante di parole scrollate velocemente, piene di emoticons e vuote di emozioni, mantenere un impegno sembra un atto eroico e un gesto rivoluzionario. Non rispettare la parola data pregiudica la qualità delle relazioni e intacca la credibilità personale. Le promesse sono un lavoro tosto perché mantenerle fa mettersi in discussione
e perché non mantenerle svilisce se stessi e ferisce chi ne è destinatario. Le promesse sono un boomerang: si nutrono di fiducia che va alimentata e non sciupata. Se realizzate portano il bene, se tradite fanno male, sgretolando autostima dentro e reputazione fuori. Le promesse sono una miniera di energia, detonatori di possibilità nuove e motori di innovazione.
Le promesse sono cure medicinali di situazioni incancrenite, sono ponti di connessioni con gli altri che superano abissi stagnanti, sono saldature che cicatrizzano rotture. Le promesse sono la densità delle proprie parole, la concretizzazione dei propri ideali, sono il dono del meglio che ognuno può fare a se stesso e a chi ha accanto dando la certezza di vivere un rapporto autentico. Le promesse sono la certificazione dei propri valori e del proprio valore. Stephen R. Cowey in Le sette regole per avere successo descrive che ognuno ha un «conto corrente emozionale» nel quale custodisce una risorsa di fiducia. Ogni parola data e realizzata è un deposito che arricchisce e un investimento che tornerà utile nelle situazioni più critiche e complesse. Altrimenti ha lo stesso valore dei soldi del Monopoli.
«Ogni promessa è un debito» si dice, ma se mantenuta diventa un credito di vita, un tesoro che impreziosisce, un investimento di qualità. Ne sono proprio convinto: ogni persona vale quanto la parola che mantiene.

