L'ha vinta il Napoli, non Conte, l'ha persa l'Inter, non Chivu. Significa che al Maradona è venuto fuori l'orgoglio dei campioni d'Italia, stuzzicati dalle provocazioni degli avversari e da due sconfitte consecutive; significa che l'Inter è andata dietro le proprie presunzioni, convinta dalla passeggiata di champions di poter vivere di rendita, subire 19 gol finora in campionato è segnale grave per una squadra con i progetti grandiosi. Il Napoli è andato contro e oltre la jella che gli ha tolto De Bruyne per una saetta al muscolo della coscia dopo il rigore che ha svegliato una partita senza ritmo e senza sangue, ma l'uscita del belga ha restituito posizione centrale e libertà di azione a McTominay e Anguissa e non è stato affatto un caso che due gol magnifici, per potenza e tecnica, siano venuti proprio dai due succitati centrocampisti. Proprio nella zona centrale di gioco l'Inter non si è mossa con intelligenza e saggia lettura, ha preferito la fase offensiva a quella difensiva lasciando scoperta la terza linea nerazzurra che ha sofferto moltissimo, anche per la prestazione fallimentare di Acerbi che sembra al limite del tramonto di una carriera splendida e all'opaco Akanji, lo svizzero è stato lentissimo e incerto in alcune giocate. L'arbitro Mariani non ha saputo gestire il nervosismo e le provocazioni, ha utilizzato male le ammonizioni, i suoi collaboratori al Var hanno ribadito che il tempo per il controllo e la decisione su episodi controversi è nettamente superiore a quello utilizzato dai malfattori del Louvre. Non è soltanto una battuta ma la conferma di un sistema che ha intossicato il football e che così proseguirà questa sua azione nociva, oltre che teatrale, come già in Milan-Pisa si era evidenziato. Napoli primo e oggi la Roma potrebbe affiancarlo in testa, l'Inter torna con i piedi per terra. Il pari del Como a Parma smorza la propaganda su Fabregas che, a fine partita, ha ricordato che la sua squadra ha perso soltanto tre partite da marzo in poi. Non ha detto quante ne ha vinte.