Una musica jazz, poi una sfumatura. Una visuale in prima persona, una mano misteriosa che apre una tenda rossa su una sala di teatro gremita. Sul palco una medium e una conferenza che tiene il pubblico incollato alla sedia. Poi, due amici che si confrontano nel cuore della notte, squarciata all’improvviso da un urlo sinistro che penetra fin sotto la pelle. Da lì, l’orrore e la sensazione che questo film non uscirà più dalla propria mente. Quando “Profondo Rosso” di Dario Argento arrivò nelle sale italiane nel marzo del 1975, il pubblico non sapeva ancora di trovarsi di fronte a un vero e proprio evento collettivo, destinato a lasciare un'impronta indelebile nella storia del cinema.
Più che una pellicola, fu un terremoto culturale che ruppe con le convenzioni estetiche e narrative del tempo, portando con sé una ventata di innovazione, inquietudine e stile. Il regista romano riusciva con il suo quarto lungometraggio a mettere insieme cura della tensione, tecnica e passione pura per un genere che grazie a questo capolavoro salirà di rango e prestigio.
Un colpo al cuore del pubblico
Al suo debutto, “Profondo Rosso” fu accolto con un mix di fascinazione e shock. Le sale erano piene, il passaparola impazzava e le file fuori dai cinema testimoniavano il bisogno collettivo di “vedere con i propri occhi” quel film di cui tutti parlavano. In un’Italia ancora permeata da una visione classica del thriller e del poliziesco, Argento colpì duro: mai si era visto un horror così viscerale e ipnotico.
Il pubblico usciva dalle proiezioni scosso, disturbato ma anche stregato, con le immagini ancora impresse nella mente: la bambola meccanica che corre verso la vittima, la colonna sonora martellante dei Goblin, gli omicidi coreografati come balletti macabri. “Profondo Rosso” sconvolse anche per il modo in cui il male si nascondeva dietro l’apparente normalità, insinuandosi nella quotidianità borghese senza bisogno di mostri sovrannaturali.
Una rivoluzione formale e narrativa
Se dal punto di vista del pubblico fu uno choc, a livello cinematografico “Profondo Rosso” fu una rivoluzione a tutto campo. Dario Argento aveva già sperimentato e dato una scossa al genere con la trilogia degli animali (“L’uccello dalle piume di cristallo”, “Il gatto a nove code” e “Quattro mosche di velluto grigio”), ma con questo film fece il salto definitivo verso uno stile personale, riconoscibile e imitato in tutto il mondo. Ovviamente erano presenti gli omaggi ad Alfred Hitchcock e a Mario Bava, ma Argento ci mise la sua firma e il suo tocco ispirato, nonché originale.
La pellicola trascina il giallo italiano nel territorio dell'orrore psicologico, contaminandolo con elementi gotici, slasher e persino metafisici. Il montaggio, frenetico ma studiato al millimetro, il lavoro sulla soggettiva della macchina da presa (che diventa spesso lo sguardo stesso dell’assassino), l’uso del colore – in particolare il rosso, manco a dirlo – e la colonna sonora elettronica furono assolute novità per l’epoca. Argento alzò l’asticella della violenza stilizzata, portando l’estetica dell’omicidio al rango di arte visiva, senza però perdere mai di vista il ritmo narrativo o l’indagine del protagonista, interpretato da David Hemmings (già star del capolavoro “Blow-Up” di Antonioni).
Sintesi del film (senza spoiler finale)
“Profondo Rosso” segue la storia di Marcus Daly, un pianista inglese in Italia (il film è ambientato soprattutto a Torino), che assiste casualmente all’omicidio brutale di una medium e si ritrova coinvolto in una spirale di delitti, visioni disturbanti e segreti sepolti. Con l’aiuto della giornalista Gianna Brezzi (interpretata da una spigliata Daria Nicolodi, compagna di Argento nella vita), Marcus si mette sulle tracce di un misterioso assassino, in un crescendo di tensione che lo porterà a confrontarsi con la sua stessa percezione della realtà. Non andiamo oltre e lasciamo, per chi ancora non lo avesse visto, il gusto di scoprire un film epocale.
Un'eredità pesantissima
“Profondo Rosso” divenne rapidamente un cult internazionale, e il suo impatto si fece sentire in tutta Europa, negli Stati Uniti, fino all’Asia. Registi come John Carpenter (Halloween), Brian De Palma (Vestito per uccidere), Wes Craven e persino David Lynch hanno riconosciuto in Argento una fonte di ispirazione per le loro opere successive.
Nel cinema nostrano, il film consolidò il giallo all’italiana come un genere a sé stante. Il capolavoro di Argento, però, è la vera opera che ha creato un ponte tra il thriller e l’horror moderno, influenzando persino generi apparentemente distanti, come il videoclip musicale e il design scenico.
Profondo Rosso: un film che ha riscritto le regole
“Profondo Rosso” è stato un catalizzatore di cambiamento, un’opera che ha costretto critici e spettatori a ripensare i limiti del linguaggio cinematografico. Ha alzato l’asticella dell’ambizione visiva e ha dimostrato che anche in Italia si poteva fare un cinema popolare, autoriale e spettacolare allo stesso tempo.
Il film è entrato nell’immaginario collettivo come una delle più alte espressioni del cinema di genere europeo, capace di fare paura, sì, ma anche di affascinare e di segnare un'epoca. E chi ha ascoltato quella nenia infantile almeno una volta, non l’avrà di certo dimenticata. E adesso, a ripensarci, avrà un brivido lungo tutto il corpo.