Nei casi di stupro accusa e difesa usano le stesse armi Il nodo del consenso

Scritto il 12/07/2025
da Filippo Facci

Attesa per lunedì la sentenza sul caso di Ciro Grillo e dei suoi amici. Ma possiamo ormai aspettarci di tutto. La giurisprudenza è contraddittoria

La sentenza del soprannominato "processo Ciro Grillo" potrebbe esserci già lunedì (dopodomani) e possiamo aspettarci di tutto. Le arringhe difensive sono proseguite ieri, lo faranno oggi e pure lunedì stesso, prima che, a ruota, i giudici entrino in camera di consiglio ed emettano una sentenza magari anche in giornata. È lecito aspettarci di tutto, si diceva, per via delle giurisprudenze contraddittorie che riguardano in particolare la facoltà o possibilità di una presunta vittima di esprimere un consenso oppure di non farlo, questo pur ossequiandosi alle "linee guida" rappresentate dalle sentenze della Cassazione proprie di quest'epoca e del suo spirito.

Memorandum: gli imputati sono Ciro Grillo, Edoardo Capitta, Vittorio Lauria e Francesco Corsiglia, e l'accusa è di violenza sessuale di gruppo ai danni di due studentesse in data 16-17 luglio 2019 nella villetta della famiglia Grillo in Costa Smeralda. L'accusa ha chiesto una condanna a 9 anni per tutti.

Proviamo a capire. Anzitutto: il partito del "se l'è andata a cercare" o quello che difende la donna a prescindere trovano entrambi pane per i loro denti. Il fatto che una donna, per esempio, non dica né sì né no, non è considerato un argomento: si parla di "dissenso implicito" e la Cassazione dice che "il dissenso è da presumersi laddove non sussistano indizi chiari volti a dimostrare l'esistenza di un consenso". Se una ragazza piange, ossia, è plausibile che dissenta, come lo sarebbe una sua mancata reazione se fosse stata minacciata o picchiata. E se era ubriaca o drogata? La Cassazione dice che bisogna capire se si trovasse in inferiorità psichica e se non potesse cioè scegliere liberamente: e capirlo, e dimostrarlo, è molto più complicato che sparare opinioni dal palco di un talk show. Siamo a un classico della vita o dei film: avere a che fare con un soggetto che abbia bevuto e che l'abbia persino fatto apposta per lasciarsi andare più facilmente. Capire il confine tra una forzatura cercata o invece sgradita, ergo, resta il problema, ma in ogni caso la Cassazione dice che se una donna ha bevuto, o si è drogata, non c'è un'aggravante per il presunto violentatore: anche se questo non può impedire che lei denunci una volta smaltita la sbornia.

È sempre la Corte a dirlo. Le accuse di aver appositamente ubriacato o drogato una vittima (per approfittarne) può aggravare la pena e portare al carcere sino a 16 anni. Se l'ubriaco sei tu, invece, nessuna attenuante: l'articolo 92 del Codice spiega che "l'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce l'imputabilità". Se poi l'accompagni a casa, e lei sembra tranquilla, non significa che tu l'abbia sfangata: questo, spiega una sentenza, non rende una denuncia meno attendibile. Neppure difendersi sostenendo "credevo che ci stesse" o dire "allora mi avrebbe denunciato subito" ha un gran valore: la legge ha aumentato sino a un anno il tempo per elaborare l'accaduto e quindi denunciare. Giusto? Sbagliato? Complicato: come lo è, pure, un soggetto che si lasci legare o bendare e accetti sesso estremo ma che poi cambi idea: tu sei tenuto a capirlo, dice la legge. La quale legge chiarisce che aver solo assistito a una violenza non garantisce l'assoluzione, come pare comprensibile.

Ma parlavamo di contraddizioni. È un fatto che una parte dell'opinione pubblica più femminista, diciamo così, oggi tende a far equivalere la mancanza di consenso con uno stupro. Ebbene, a Milano la recente richiesta di archiviazione per La Russa junior va in senso opposto: come nel caso di Ciro Grillo, l'accusa è quella di aver infierito su una ragazza bevuta o drogata e comunque non in grado di esprimere consenso; la procura, per La Russa Junior, sostiene che "non vi è prova che gli indagati, pur consapevoli dell'assunzione di alcolici da parte della ragazza, abbiano percepito la mancanza di una volontà", e gli avvocati della ragazza, peraltro, pur dissentendo, concordano sul fatto che essere bevuti o drogati non significhi automaticamente essere contrari a quello che succede. Ecco: nel processo a Ciro Grillo, invece, la Procura è tornata all'equazione "mancanza di consenso = stupro". L'incapacità di reagire della vittima (testimoniata da alcuni video) è usata dall'accusa e dalla difesa per sostenere la stessa tesi: che lei, avendo bevuto, non fosse in grado di esprimere nulla (né consenso né dissenso) e per questo gli imputati andrebbero condannati secondo l'accusa o assolti secondo la difesa. In concreto significherebbe, se la Procura avesse la meglio, che avere dei rapporti sessuali con un soggetto che abbia bevuto (o altro) equivarrebbe a una condanna sicura in caso di denuncia.