AGI - "Io non ho toccato nulla: qualcuno dei miei superiori mi avrà autorizzato alla restituzione di quanto fu trovato nella 127, forse Contrada o Vasquez": Filippo Piritore, sentito dal gip Antonella Consiglio venerdì 17 ottobre, si era presentato all'interrogatorio preventivo, da fare prima dell'eventuale arresto, con un elenco lunghissimo di farmaci che assume a causa delle sue precarie condizioni fisiche: "Io entro in agitazione e ansia - dice rispondendo alle domande anche dei pm Francesca Dessì e Antonio Carchietti - e avrò detto delle cose interpretate male, io mi protesto innocente. Probabilmente ero agitato".
Il riferimento è alle tante contraddizioni in cui l'ex prefetto oggi in pensione, finito ai domiciliari venerdì 24 ottobre con l'accusa di depistaggio delle indagini sull'omicidio di Piersanti Mattarella, era incappato nel corso delle sue audizioni dello scorso anno, quando i magistrati della Procura diretta da Maurizio de Lucia lo avevano convocato come persona informata dei fatti.
Piritore è accusato di avere fatto sparire un guanto ritrovato poco dopo il delitto, il 6 gennaio 1980, nell'auto dei killer, una Fiat 127 rubata. Un oggetto "repertato", cioè annotato in un appunto formale ma mai consegnato né ai magistrati inquirenti (il pm titolare del fascicolo Mattarella era Pietro Grasso), né ai laboratori della polizia scientifica.
Secondo l'accusa, davanti ai pm, l'indagato aveva ribadito il depistaggio già fatto 45 anni fa, cercando di confondere ancora le acque su chi effettivamente fece sparire quel preziosissimo guanto. "Nella 127 c'erano dei pantaloni - ricorda l'allora funzionario della Squadra mobile - un guanto, poi un bottone da lutto. Non ho un ricordo nitido, io non ho occultato nulla". Parte del materiale fu restituito al proprietario dell'auto, che lo riconobbe. Il guanto invece non era suo e rimase in sequestro: per finire però chissà dove. "Non so come avvenne la consegna - dice ancora l'indagato, difeso dagli avvocati Dino Milazzo e Gabriele Vancheri -. Io non ho toccato nulla, ero meticoloso nelle cose che facevo. Non ho ricordi nitidi, qualcuno mi avrà detto che il dottor Grasso aveva il guanto. Avevo 30 anni appena fatti (sbaglia: ne aveva appena compiuti 29, ndr). Evidentemente mi sarò spiegato male, ero agitato e dispiaciuto perché non potevo dare un contributo lucido. Ho anche chiesto scusa ai procuratori. Sono in pensione dal 2016 e prendo una ventina di farmaci che incidono sulla memoria".
La testimonianza di Pietro Grasso e le "anomalie"
"Nulla ho mai saputo del ritrovamento di un guanto sull'autovettura utilizzata dagli autori dell'omicidio Mattarella e che lo stesso è stato disconosciuto come proprio dal proprietario della 127. Apprendo solo ora questa circostanza". Così, davanti ai suoi ex colleghi di Palermo, nell'ottobre 2024 si era espresso l'ex sostituto procuratore Pietro Grasso, il primo magistrato che, essendo di turno, si occupò degli accertamenti sul delitto commesso il 6 gennaio 1980 ai danni del presidente della Regione, Piersanti Mattarella, fratello dell'attuale Capo dello Stato.
Una testimonianza che fa da supporto alla tesi del depistaggio attribuita all'ex funzionario della Squadra mobile ed ex prefetto Piritore. "Escludo di avere ricevuto per la convalida un verbale di sequestro del guanto - prosegue Grasso - probabilmente, la vicenda del guanto rappresenta l'ennesima 'anomalia' di quel procedimento. Mi riferisco, ad esempio, al 'depistaggio Ciancimino' di cui si parla nella sentenza sugli omicidi politici; o al fatto relativo alla segretaria di Mattarella che andò a riferire quanto a sua conoscenza al procuratore generale Ugo Viola, senza che io ne sapessi nulla, pur essendo il titolare dell'indagine; o all'incarico di accertamenti bancari affidato dal mio ufficio a un colonnello della Guardia di finanza, di cui al momento non ricordo il nome, che, dopo un breve periodo, venne trasferito senza che alcuno mi riferisse sull'esito degli accertamenti. Inoltre, molte altre circostanze si seppero dopo, quando l'indagine venne trasferita per la formale istruttoria al consigliere Rocco Chinnici", poi a sua volta ucciso da Cosa nostra.